Viaggio nella Svezia del COVID

Per vari motivi, negli ultimi giorni, mi è capitato diverse volte di sentir parlare della Svezia e del suo modello per affrontare la pandemia. Come per ogni discussione a tema “coronavirus”, il dibattito è segnato da due schieramenti con idee divergenti, ciascuno convinto di essere portatore della verità.
Sono due gli elementi che più mi disturbano di questa sciocca diatriba: in primis, la scelta della Svezia non è né giusta né sbagliata ma è, appunto, la loro scelta; il tempo ci dirà quanto questa sia stata efficace, è chiaro, ma si tratta comunque di una decisione ponderata e presa dopo aver considerato e analizzato tanti fattori diversi. In secondo luogo, oltre ad essere ormai tutti un po’ virologi, ora siamo diventati anche tutti un po’ svedesi, e ci permettiamo di giudicare le decisioni altrui senza conoscerne le motivazioni e senza avere ben chiaro cosa sta succedendo. La maggior parte delle persone, infatti, non ha idea di quale sia la reale situazione svedese, sia da un punto di vista socioeconomico, sia rispetto a come gli svedesi stanno effettivamente vivendo questo momento difficile.
Vorrei quindi provare a fare rapidamente il punto della situazione a riguardo, poiché poco meno di tre settimane fa ho avuto modo di viaggiare per lavoro proprio in Svezia, attraversandola in lungo e in largo (in lungo, più che altro…) e incontrando alcune persone del posto. A causa della difficile situazione relativa ai voli aerei, inoltre, io e i miei colleghi abbiamo scelto di compiere l’intero viaggio in auto, partendo da Milano; questo ci ha permesso di crearci una sorta di gradiente della pandemia, osservando in modo abbastanza preciso cosa accade spostandosi progressivamente verso Nord.


Immagine Public Domain - Fonte

Quindi, procedendo con ordine… Cosa succede realmente fuori dai nostri confini?

Come dicevamo si osserva realmente un certo gradiente nel risalire il continente. Abbiamo cominciato il nostro viaggio attraversando Svizzera e Austria, due paesi dove le norme anti-covid sono, tutto sommato, molto simili alle nostre. Le persone sono molto attente e, giustamente, pretendono che vengano rispettate tutte le norme che attualmente sono in vigore anche qui in Italia: mascherine nei luoghi chiusi, distanziamento sociale, e così via.
La situazione si fa un poco più leggera attraversando la Germania. Le regole generali sono le stesse, ma si tratta in molti casi di raccomandazioni, più che di norme. Le persone indossano le mascherine nei luoghi chiusi, i ristoranti permettono di sedersi a tavoli alterni (persino da McDonald’s), e chi si interfaccia con le altre persone resta quasi sempre dietro le barriere di PMMA. Mi è capitato, soprattutto nelle aree di servizio, di incontrare persone senza mascherina, ed erano quasi sempre del posto (i turisti erano molto più attenti); tuttavia, devo ammettere di non essermi mai realmente sentito in pericolo, perché gli spazi e le abitudini iniziano a essere diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati in Italia. Banalmente, non mi è mai capitato di trovare aree di servizio “intasate” come i nostri autogrill. L’igiene non è ottimale, forse si potrebbe fare meglio.
Il primo vero banco di prova, però, è stato il traghetto notturno che ci ha portato da Rostock a Trelleborg. Le norme, indicate anche sui biglietti, prevedevano come obbligatoria la misurazione della temperatura prima di salire a bordo, e l’uso delle mascherine negli spazi comuni. La febbre non ci è stata provata, né all’andata né al ritorno, ma devo dire che, invece, le prescrizioni sulle mascherine sono state rispettate da tutti i passeggeri.

Ma cosa succede invece in Svezia?

Qui la situazione si complica. La prima occhiata lascerebbe superficialmente pensare che in Svezia sia tutto normale: poche mascherine (quasi sempre di turisti), pochi avvisi in giro, nessun controllo. Tutto questo, però, è dovuto alla natura stessa della Svezia e non ad una situazione di “non pericolo”.
Le persone, infatti, sono preoccupate dalla pandemia, e anche se non indossano particolari dispositivi di protezione individuale sono molto attente a ciò che fanno. Io ho stretto la mano, senza pensarci, a due sole persone nel mio viaggio; tutti gli altri hanno saggiamente evitato il contatto. Nei locali chiusi le persone non sono tenute ad indossare la mascherina, ma spesso all’ingresso ci sono cartelli che ne consigliano l’uso. I lavoratori, ad ogni modo, sono sempre protetti da barriere di PMMA, e non vengono in contatto volentieri con i clienti. Per i pagamenti si cerca di fare ricorso soprattutto a strumenti contactless, ma non saprei dire se questo sia in qualche modo legato al COVID.
Le strutture ricettive lavorano, ma non a pieno regime. Abbiamo passato una notte in tenda, perché il camping che avevamo scelto non aveva bungalow disponibili a causa delle procedure di sanificazione che, probabilmente, impongono una certa rotazione nell’uso dei locali. Stanchi di guidare e amanti del campeggio abbiamo quindi scelto di fermarci ugualmente lì, con una sistemazione un po’ più spartana (preoccupati dalla situazione in peggioramento avevamo deciso di portare la tenda per sicurezza). Siamo riusciti a scambiare alcune parole con altre ospiti, per lo più svedesi e inglesi, stando all’aperto; nel farlo non abbiamo utilizzato dispositivi di protezione, ma abbiamo chiacchierato mantenendo sempre distanze decisamente abbondanti (direi mai sotto i 3 metri). Ho notato con piacere che nei bagni e nelle docce la maggior parte delle persone usavamo invece la mascherina. Mascherina che non indossava la ragazza che ci ha accolti, protetta però anche lei dal PMMA.
La situazione mi è sembrata un po’ più confusionaria nei pressi di Stoccolma, ma abbiamo preferito evitare di addentrarci troppo in città.

Quindi in Svezia la situazione è più leggera? Il lockdown e il distanziamento sociale non servono?

Nì. La situazione è solo apparentemente più leggera. Ma per comprenderla fino in fondo è necessario conoscere questo paese magnifico. Abbiamo percorso circa 3000 km solo in Svezia, e la densità di popolazione è estremamente bassa. Per più del 90% del nostro viaggio siamo stati completamente dispersi in foreste di conifere con paesini che non contavano mai più di venti e trenta case, un negozietto e un distributore. È molto molto difficile venire a stretto contatto con degli sconosciuti, persino nelle aree di servizio lungo le autostrade. Ci sono pochissime persone. La verità è che loro vivono in uno stato di lockdown quasi permanente, dove il distanziamento sociale è una componente intrinseca della loro esistenza. Non per scelta, ma perché il loro territorio è così. Se dovesse scoppiare un focolaio in un paesello, magari importato dalla città, questo resterebbe verosimilmente circoscritto e quelle poche persone che lì abitano; soprattutto al Nord, infatti, passano magari decine e decine di chilometri tra un paese e un altro. Nulla a che vedere con la situazione di iper-urbanizzazione che caratterizza l’Italia.
Ovviamente le poche grandi città come Stoccolma meritano un discorso a parte. Ma se analizziamo i dati di queste città, ci rendiamo conto che i numeri della pandemia diventano ben peggiori di quelli italiani.

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Come riportano i dati in tempo (quasi) reale di worldometers, infatti, la Svezia ha in percentuale il doppio dei nostri contagi, e un numero paragonabile di morti. E questi sono quasi tutti casi “cittadini”.

Quindi hanno sbagliato?

No, non direi. Hanno scelto di provare, fin da subito, a convivere con un virus che potenzialmente potrebbe accompagnarci per un po’ di tempo. Non l’hanno fatto perché sono più bravi o più intelligenti, ma perché le loro caratteristiche intrinseche permettevano una reazione di questo tipo.
Un approccio del genere in Lombardia, per fare un esempio, è impensabile. C’è una densità di popolazione, non solo a livello abitativo, troppo elevata. Ripensando ai miei anni in università non riuscirei a contare agevolmente l’infinità di persone con cui entravo a stretto contatto ogni giorno sui mezzi pubblici e per le vie di Milano. Così come faticherei a contare le interazioni effimere ma ugualmente pericolose che potevo avere nel mio piccolo paesino di periferia, che fosse dal fornaio o in farmacia.
Che piaccia o no, tutto questo in Svezia non accade. E permette ai legislatori di prendere provvedimenti meno drammatici.


Concludendo, quindi, è del tutto impossibile paragonare paesi come Italia e Svezia per capire quale sia stato l’intervento migliore. Ci sono condizioni di partenza completamente differenti, e il confronto non è solo inutile, ma anche un po’ stupido. Sarebbe come misurare chi salta più in alto tra un saltatore classico e uno che utilizza l’asta.
Un paragone, invece, potrebbe essere fatto con gli altri paesi nordici, come la Norvegia e la Finlandia; storici alleati della Svezia, che però hanno deciso di chiudere i loro confini a chi arriva da questo paese, suscitando anche dure reazioni da parte di alcuni ministri.
Anche questo paragone, però, pur se maggiormente indicativo, non sarebbe conclusivo. La pandemia avanza, e siamo ancora lontani da una soluzione. Non possiamo dire ora se la strategia di questo o di quel paese sia stata migliore di altre. Potremo tirare le somme solo a bocce ferme.
Quello che sappiamo è che in Italia sono state sicuramente messe in atto misure particolarmente drammatiche, magari a tratti eccessive, ma sempre guidate dal principio di precauzione. E questo, in una situazione incerta come quella che stiamo vivendo, è un elemento decisamente importante. Abbiamo ottenuto buoni risultati (dopo un inizio traballante), recuperando una situazione che in alcune zone del paese appariva totalmente fuori controllo. E ora siamo una delle realtà europee con la situazione più stabile. Domani chissà.
Nessun vuole un nuovo lockdown. Ma proprio per questo cerchiamo di continuare su questa strada, rispettando le poche raccomandazioni che ci vengono fatte, e sopportando l’uso della mascherina anche con il caldo. Perché rifiutarsi di metterla e poi lamentarsi in caso di nuovo lockdown, parafrasando Gaber, “è da stronzi oltre che di destra”. Non me ne vogliano gli amici di destra, sto scherzando ovviamente.



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I confess I basically did not understand anything in the post other than you appear to compare Sweden and Italy during covid. If you want I can probably provide some info as I live in and am a Swede =) In case you got any questions that is. =)

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